I racconti "brevissimi di Energheia"

I brevissimi 2018 – Esiste perché deve esistere di Ugo Criste_Genova

_ Anno 2018 (I sette colori dell’iride – Il giallo)

Quella fotografia in bianco e nero è ormai sbiadita dal tempo. La tengo appesa alla parete della camera da letto e ogni sera, prima di spegnere la luce, la osservo. Capita che durante la notte i fari delle automobili passando davanti alle mie finestre chiuse, ne illuminano le imposte. Rapidi bagliori attraversano le stecche delle persiane e allora, se sono sveglio, colgo l’immagine di quella fotografia emergere dal buio. È la fotografia di mia madre e di mio padre quando avevano vent’anni. Hanno i volti scarni. Le orbite degli occhi profonde come pozzi artesiani. Le spalle vuote. Le teste rasate. Fra le mani sorreggono una casacca a righe sul cui davanti c’è applicato un triangolo, e il loro sguardo è sfuggente, distante. Quella fotografia la recuperai in fondo a un cassetto del comodino di mio padre. Quell’immagine ricordo, mi passò davanti sino al margine dell’età adulta, poi scomparve. Quando chiedevo a mia madre dove fosse finita, lei mi rispondeva in maniera vaga. Sosteneva che era andata smarrita. Che più si trovava. Riemerse quando la loro casa si svuotò di ogni presenza di vita e occorreva fare pulizia. La ritrovai all’interno di una scatola di cartone. Assieme alla fotografia c’erano conservate anche le due casacche. Lise, stanche. A vederle sembrava che serbassero ancora gli orrori vissuti. Con il palmo della mano sfiorai il triangolo giallo cucito sul petto. È scolorito. Con le punte sgualcite. Ma quel giallo non si spegne. È più che un simbolo. È la rappresentazione di una atrocità da non dimenticare. Mentre scrivo queste righe vado in camera e osservo la fotografia. Faccio due passi di lato ponendomi davanti allo specchio. Cerco di imitare la postura dei miei genitori. Di riprodurre il loro sguardo. Di farmi simile. E nel farlo guardo il mio petto alla ricerca di quel triangolo giallo. Nonostante sia finzione entro nella parte, mi trasfiguro.

Tenere esposta quell’immagine mi mette malinconia, ma riporla in un cassetto proprio non mi è possibile. Quella fotografia vuole la luce. Vorrebbe dare un senso a quei sguardi assenti. Esiste solo per caso. Esiste perché non si deve affievolire la volontà di vivere e perché non si deve dimenticare quel triangolo giallo infisso sul petto di milioni di esseri umani prima di essere condotti al massacro, allo sterminio.

Mi affaccio dalla finestra. Guardo la collina che si erge a un centinaio di metri. A primavera fioriranno le ginestre.