I racconti "brevissimi di Energheia"

I brevissimi 2021. Bianco, Francesca Brancaccio_Olgiate Comasco(CO)

anno 2021 (Bianco)

La luce del mattino, chiara e bella, entra nella stanza quasi vuota attraverso i vetri chiusi della finestra, e la illumina, dopo aver rimbalzato accecante sul bianco della neve che ricopre ogni cosa, fuori.

Il materasso è piegato su se stesso, ordinatamente.

In un angolo, a destra della porta, un piccolo sgabello, e sopra, come fosse anch’essa parte dall’arredamento, una bambina. Testa inclinata e sguardo pensieroso fissa il letto disfatto, dondolando le gambette, le punte dei piedi che sfiorano il pavimento. Gli occhi si muovono come a rincorrere un pensiero, e a tratti diventano tremendamente cupi.

Da oltre le pareti si sente una voce di donna.

La donna entra, vede la bambina, segue il suo sguardo verso il materasso, scuote la testa e la accompagna piano giù dallo sgabello e fuori dalla stanza. Si gira per chiudere la porta, e guardando ancora una volta il letto, si lascia sfuggire una lacrima sulla pelle bianchissima.

Quattro giorni prima

È la mia stessa voce a svegliarmi.

Vedo un’ombra avvicinarsi a me, e sembra un volto, un demonio dalla pelle diàfana.

Il dolore scorre ovunque insopportabile persino per una creatura maledettamente forte come me, così urlo di nuovo, con tutto quel che resta del mio animo, e mentre l’aria esce ringhiante dal corpo, ricordo.

Le fiamme, prima nelle mie mani, controllate, caldo quasi piacevole dopo tutto quel gelo, poi nell’enorme rogo, sul ghiaccio e nel ghiaccio, luci impazzite riflesse su ogni lastra, ogni superficie, caldi colori nel freddo del polo. Il mio rogo.

Dopo aver pianto sul cadavere di Victor, Victor Frankenstein, il mio creatore, avevo vagato per giorni in quel deserto bianco. Sentivo lo sconforto che quasi sempre mi aveva accompagnato diventare insostenibile, il bisogno di smettere di esistere irresistibile.

Eccomi quindi davanti al fuoco, dentro.

Impegnato a non soccombere al male incessante ho perso di vista l’unico elemento davvero sconvolgente: il demonio, la sua pelle chiara, quella voce incomprensibile. Se io sono vivo, lei è una donna.

E – quella – donna – non – scappa.

Non so quanto tempo è passato dal mio ultimo momento cosciente.

Rivedo la donna, e non credo a lei nè a quello che vedo.

Parla, incessantemente, vicino a me.

Non capisco.

Ho vissuto la mia intera esistenza nel terrore da me stesso creato, nel riflesso dell’odio e del disgusto che vedevo dipingersi negli occhi di chi mi scorgeva. Tutti gli esseri umani che ho incontrato sul mio cammino hanno reagito a me in due soli modi: scappando, oppure attaccandomi. Il rifiuto mi ha reso cattivo. La certezza che mai nessuno avrebbe avuto anche solo pena per me ha guidato la mia disperata crudeltà.

Ed ora, questa donna.

Un angelo.

Combatto il dolore per riuscire a ragionare, a capire.

Ascolto le sue parole sconosciute, e sento del fresco bagnato sulle labbra. Sta tentando di farmi bere, quell’angelo.

Perchè questa donna si occupa di me? Dove sono? Come ci sono arrivato?

Cerco i suoi occhi, e li trovo colmi di dolore. Orrore anche, quello non manca, ma sommerso nella pietà.

E mentre la guardo, scorgo un movimento, in fondo, la porta si apre e nello spiraglio compare una bambina. La donna si alza, corre da lei e le impedisce di guardarmi. Le sento piangere, entrambe, ma non di paura.

Il mio respiro diventa sempre più impossibile, e in un istante capisco, tutto insieme.

Il rogo. Il fuoco. Il bagliore deve essersi visto anche da molto lontano, molto di più di quanto avessi potuto immaginare. Qualcuno dev’essere accorso, e deve aver trovato un uomo incredibilmente alto divorato dalle fiamme. Non vedono molti esseri umani, qui, nel nord della Siberia; io devo essermi avvicinato al mondo abitato più di quanto pensassi, nel mio girovagare delirante, e loro non devono essere persone che si fanno troppe domande. Hanno visto un uomo che stava bruciando vivo, e hanno cercato di salvarlo.

Devo essere mostruoso, ora. Ora.

Devo essere così devastato dal fuoco, così pesantemente ustionato che a parte la mia altezza non dev’essere rimasto molto della mia innaturale mostruosità.

Lo scempio delle scottature ha cancellato le mie insopportabili bruttezze. La mia diversità è mascherata sotto a una pelle massacrata dal dolore del fuoco.

La donna è tornata vicino a me, la sua voce continua. Nei suoi occhi si è aggiunta la preoccupazione. Ha le mani giunte, sta pregando.

L’aria raggiunge a fatica i miei polmoni, e capisco che è l’ultima volta.

Metto gli occhi nei suoi, e sento il calore candido che ho cercato per tutta la vita.

Mentre tutto diventa bianco, la sua voce si allontana, rimane, si allontana.