I racconti del Premio letterario Energheia

Vinny e Sara_Vanessa Vizziello, Matera

_Racconto finalista seconda edizione Premio Energheia 1995.

 

Sono un uomo grosso, brutto e pelato e sono infelice. Anzi, ho mentito, non sono poi così grosso. Ho un brutto difetto… non sono molto sincero, quindi spesso dico la verità, spesso no! A questo punto, perciò, potrei essere magro, bello e capellone ed essere felicissimo, oppure potrei non essere niente di questo! Oddio e se fossi… un gatto… un albero… una sedia?

Calmiamoci un attimo e ragioniamo. Ho due braccia (… e se fossero rami?), ho due gambe (… e se fossero quelle di una sedia?), ho una bocca (meno male, non sono un albero né una sedia… ma potrei sempre essere un gatto!!) Ho due occhi, un naso e i baffi (… forse sono le vibrisse!!) e ho una valigetta nera (olè, non sono neanche un gatto). Allora sono proprio un uomo! E che tipo di uomo? Potrei essere un testimone di Geova o, forse, un rappresentante o, forse, un sabotatore o, forse, un manager, o un dottore, o un avvocato, un killer… Ma insomma chi sono? Apriamo la valigetta e vediamo: un paio di boxer, una camicia, uno spazzolino, un rasoio messi alla rinfusa, così per caso, senza ordine… Ehi, dimenticavo i calzini. E beh! Chi sono? Allora, il mio nome è Bond, James Bond! E no? Così non va. Dunque, mi chiamo Paperone, sono lo zio di Paperino e sono ricchissimo… Che dite è troppo? Basta così, mi chiamo Vinny, non so perché ma E così… mi chiamano tutti così, e il cognome sceglietelo voi. Ho una valigetta, questo lo sapete già, e mi piace parlare alla gente. Sono un tipo strano, la gente dice che sono pazzo, ma la realtà è che sono stravagante, uno spirito libero, e forse un po’ matto. Sono un poeta, un amante eccezionale, l’ultimo dei romantici, un disperato difensore dell’amore vero, estremo, dolcissimo.

Ho ucciso mia moglie… ma non l’ho messa nella valigetta, non c’era posto. Ieri sera a casa, in un attimo ed è stato un gesto consapevole, disperato, bellissimo. Sono sempre stato così drastico, deciso, ma sempre coerente fino all’ultimo con i miei pensieri. L’ho amata fino all’estremo, le ho dedicato la mia vita, il mio cuore, la mia mente, il mio essere. Ero sempre lì dov’era lei, facevo sempre quello che sapevo che lei voleva che io facessi (difficile da dire ma facilissimo da sentire, se si ama come me!). Era la cosa più bella che mi fosse capitata quella di amare in questa maniera, totalmente e senza limiti. E’ la gente dice che sono pazzo, che sono malato, e ha paura di me perché… amo… fino alla follia… fino alla morte!

L’ho uccisa con un coltello… anzi no, è meglio, un pugnale… e no, fa troppo male… ecco, ho trovato: l’ho uccisa con una sciarpa di seta bianca che ho trovato nella sua borsa ieri sera. Non l’avevo premeditato ma è stato più forte di me. E lei è morta tra le mie braccia, senza alcuna resistenza, quasi conscia di quel mio gesto di amore. Un tradimento mai confessato la portava via da me per ore, per giorni, per settimane. La portava via non solo fisicamente, forse l’avrei accettato di più, ma mentalmente, intimamente, intellettivamente. Ho creduto e credo ancora nell’amore spirituale, etereo. Non volevo toccarla, non volevo aggredirla, ma volevo viziarla con le parole, sedurla con i gesti, affascinarla con gli sguardi, amarla come si ama davvero. E così è stato per un anno. Mi obliavo a guardarla camminare per casa, mi svegliavo la mattina e la abbracciavo per riscaldarla, per sentire il battito del suo cuore, le tenevo la mano, le facevo un po’ di fusa (allora, forse, sono proprio un gatto) e mi riaddormentavo su di lei quasi per proteggerla, per farmi proteggere. Un sogno, una nuvola. Un anno tenero, delicato, intenso e sincero…

L’ho uccisa a mezzanotte nel salone con le luci spente, senza aggredirla, ancora una volta con la dolcezza di chi ama, e lei l’ha sentito. Ha chiuso gli occhi, non respirava più e io stringevo la sciarpa bianca di seta. La chiamavo, la imploravo, come sempre, di rispondermi, ma lei dormiva, non respirava… era morta!!! Era bellissima.

Ci siamo sposati in chiesa un anno fa, da soli, senza estranei, parenti, bambini chiassosi, senza quell’orribile lancio di riso. Una cerimonia eterea, come era il nostro amore; in campagna, con il sole in una giornata tiepida di aprile. Un pranzo regale, una prima notte sensuale, romantica, da brivido. Ricordo tutto di quel giorno: gli abiti, i cibi, le strade, i profumi, le lenzuola, il risveglio… ricordo perfettamente ogni dettaglio di questo anno. Non ho perso niente… nella mia memoria E tutto catalogato tra i piaceri della vita.

Più la stringevo più scivolava tra le mani… proprio come lei, anche la sciarpa ieri sera. Non riuscivo più a mantenerla perché mi sgusciava via. Però non si è sporcata la seta, è rimasta bianca ed è ancora lì dove l’ho trovata, nella sua borsa. Neanche un po’ di sangue, tutto come se non fosse successo niente, tranne il suo respiro che non c’era più.

Un mese dopo il matrimonio l’adoravo, la guardavo, l’aspettavo, passavo le ore in ufficio, a casa, per le strade a pensare a lei. Le comperavo i fiori che adorava… rose rosse, il più bel pegno d’amore. Ogni giorno tornavo a casa con almeno una dozzina di rose per lei. E aspettavo che lei tornasse da me, che venisse da me per abbracciarmi, per baciarmi, per coccolarmi e per ricevere tutto quello che io potevo darle: me stesso. E lei tornava dopo un po’ e mi guardava, rispondeva alle mie mille attenzioni e… basta. Andava via lasciandomi perso, inebriato del mio stesso amore. Adesso è ancora lì, sul pavimento, senza vita, che aspetta che qualcuno la porti via. E’ vicina al tavolo a terra, con gli occhi chiusi e la bocca aperta. Forse voleva gridare, ma non l’ha fatto, non ha avuto tempo. Sono stato rapidissimo. Non mi voleva, non mi amava e me lo faceva capire in mille modi. Persino con la sciarpa di seta bianca. Me la sventolava sotto il naso, come fosse l’unica bandiera della mia resa nei suoi confronti. Ma mi piaceva, mi deliziavo ad inventare tutto ciò che la facesse ridere quando era triste. Ero un clown, un mago, una bimba, il lupo, il drago, un fantasma, un pazzo d’amore. E rideva e piangeva e… basta. Ero sempre lì a pensare a quello che le potesse piacere. Facevo sempre quello che lei voleva, sapevo, purtroppo, sempre tutto di lei. Mi bastava uno sguardo, una sua parola, un suo gesto per capire tutto. Sono stato perfetto! Ora sento delle sirene… sento, vedo gente in casa mia, la polizia, l’ambulanza. La portano via. Sono qui ad un passo da loro, ma non mi vedono, ho con me la valigetta nera per partire, per fuggire, per continuare ad amare come so fare! Stanno cercando indizi, cercano il colpevole, il pazzo, l’assassino… cercheranno me!

Nei mesi passati le mie cure sono triplicate, mi sono perfezionato, curavo le parole sempre più maliziose e i gesti, gli sguardi, ma lei non mi permetteva niente di tutto ciò. Era sempre buia, silenziosa. E la gente diceva: “Il marito è strano, forse è scemo, forse picchia la moglie che è sempre arrabbiata, scontrosa e silenziosa”.

Io scambiavo sorrisi a chi mi scansava, inchini settecenteschi a chi mi voltava le spalle… ma la gente non ama, la gente non sa amare, non conosce il vero significato dell’amore. Offrivo un fiore ad una signora e mi guardava scandalizzata, povera vittima di un’aggressione a viso scoperto. Offrivo il braccio ad una vecchietta ed ero un borseggiatore, un ladro o forse, peggio, un cattivo stupratore. Mi avvicinavo ad una bimba per parlare, per giocare, per fare amicizia e lei scappava terrorizzata dalla mamma; ero forse un maniaco? “E’ pazzo” dicono coloro che non sanno amare, che si scandalizzano per un gesto di amore, che non provano neanche ad amare come me.

Stanno cercando per tutta la casa. Cassetti sottosopra, armadi spalancati, biancheria buttata a terra, i fiori, i miei fiori, gettati senz’acqua sul tavolo. Gente che fruga, che rovista nelle mie cose, nei miei segreti, nei miei profumi. Con quelle mani sporche, estranee, violente dissacrano il mio tempio, il mio regno. E lei non c’è più, non è più neanche a terra, chissà dov’è ora; via una volta per sempre, e lontana da me e dalla mia vita.

Non sopportavo l’idea di averla persa, di vedere che lei infastidisse le mie attenzioni. Io l’amavo, lei no e questo me lo diceva, mi avvisava, ma tornava sempre da me, a casa. Ma perché? Passavo tutta la giornata a pensare alle frasi, alle cose che potevano piacerle, ma lei tornava e annullava tutto con uno sguardo, con il silenzio. Le facevo regali sempre più belli, sempre più ricercati… ed ecco la sciarpa bianca di seta che spuntava dalla sua borsa. Per mesi non mi ha degnato di un sorriso, di un saluto; ero diventato un’ombra, uno spettro e la mia arte, l’amare, stava morendo. Non la capivo più. Tutto ciò che mi era stato sempre facilissimo, spontaneo, era diventato una tortura. L’amore, il mio amore stava morendo e lei tornava sempre, per torturarmi, per vedermi soffrire, per continuare ad essere amata. Quella sciarpa bianca era diventata l’incubo del mio amore, del mio non amore, ormai. Non amavo, non vivevo. Le luci dei ricordi, i brividi, la gioia dei pensieri, degli sguardi persi cercando di sognarla; i sogni, quanti sogni. Giorni interi sognavo e mi piaceva, ma lei tornava da me, a casa. Egoista, falsa, prepotente fino al punto di privarmi del piacere di amarmi. E sì, amavo me! Amavo me che amavo. Mi piaceva fare regali, comprare le rose rosse che adorava, mi piaceva entrare nella mente sua e sapere tutto, prima ancora che lei parlasse, ma lei rovinava tutto, tornava sempre e interrompeva la mia gioia, il mio piacere.

Sono pazzo, sono stravagante e l’ho uccisa perché voleva interrompere il mio amore delicato, bellissimo, eterno e indissolubile. E’ morta tra le mie braccia e in quello stesso momento ho ripreso a sognare. E’ rinato l’amore, il mio amore, il vero amore!!! Sono ancora qui con la mia valigetta nera, nel giardino di fronte a casa, al n.12 di Wilburn Street. E’ una mattina fredda e umida di settembre. Sono sempre io, quello di prima, quello che non sapeva se era un albero, un gatto o una sedia. E chi lo può dire? Mi sono svegliato questa mattina e vi ho raccontato una storia fra le tante che ho nella mia valigetta. Chi sono io? Che storia vi ho raccontato? Mi capita spesso di inventare storie; spesso invento di essere un uomo ricco, una vecchia donna, oppure un gatto (e sì, ancora lui). Altre volte sono arrabbiato e penso di essere il più feroce dei predoni o una strega. E chi può dire chi sono? La gente dice che sono pazzo… la gente crede sempre quello che vuole credere e… perché no! A me piace così… Anzi oggi mi chiamo Sara, sono bella, alta, bionda e vivo da sola, così evito di ammazzare qualcuno… e… dimenticavo: amo da morire la vita e tutti i matti simpatici e stravaganti che si incontrano per strada. Un consiglio: se qualcuno vi dona un fiore accettatelo, non sempre chi ve lo offre vi vuole male… ma dipende dalla fortuna!!!.