I racconti del Premio letterario Energheia

La sedia a rotelle_Viviana Zilli, Roma

_Racconto finalista settima edizione Premio Energheia 2001.

 

Se chiudo gli occhi, mi sembra ancora di vedere i suoi capelli.

Se chiudo gli occhi, mi sembra di rivivere quella notte e di assaporarne ogni magico istante.

Quando arrivai a Borghetto Campano avevo quasi 19 anni, e da uno mio padre era morto in un incidente stradale nel quale io avevo perso l’uso delle gambe.

I medici inizialmente avevano diagnosticato un trauma momentaneo alla colonna vertebrale, ma poi la situazione era degenerata al punto che nessuno specialista era in grado di pronunciarsi.

Ero diventata un “caso particolare”, una “rarità clinica”, un argomento interessante per i dottori: la mia spina dorsale era in una sorta di coma irreversibile, dicevano, ma come non poche volte è successo, aggiungevano, i miracoli colpiscono quando meno si è pronti a riceverli.

Io ero sempre stata una bambina vivace, ottimista e carica di volontà; avevo riempito i miei diciotto anni di musica e danza, ma dopo la paralisi, tutto quello che mi rimaneva per sentirmi ancora viva era il violino ricevuto in regalo dal mio povero papà.

Terapie, psicologi, specialisti, ortopedici ed ospedali erano diventati il mio mondo e piano, piano, come una fiammella di candela spenta dal vento, la mia forza d’animo aveva iniziato ad indebolirsi e io avevo completamente perduto la fiducia in una possibile guarigione.

Non ero più Mia.

Non ero più la ragazzina con le trecce bionde che aveva salvato un gattino arrampicandosi su un salice cinque volte più alto di lei; non ero più la ragazza che si era slogata la caviglia alle prove del saggio di danza classica e che poi quel saggio lo aveva vinto e neanche quella che aveva fatto l’amore per la prima volta sulla mansarda con il moretto che la chiamava “Marunnina Mia” per il candido aspetto che conferivano i suoi capelli dorati… non ero più niente.

 

Da: Lela@evermail.com

Ogg: UFFA!

Inviata: 13 Febbraio 2000, ore 17:30

Ciao Mia,

non è giusto che per continuare a far parte della tua vita ti debba scrivere un’E-mail!

Sono già due mesi che sei partita e mi sento ancora tanto sola…

Giada e Sara cercano di coinvolgermi nelle loro uscite, soprattutto il sabato sera, ma non è lo stesso!

Mi mancano i pomeriggi passati con te a chiacchierare dei nostri più intimi segreti, mi mancano i barattoli di Nutella nei quali annegavamo le sconfitte amorose, mi mancano le notti a far finta di dormire e le risate soffocate nei cuscini, mi manca prestarti le mie magliette e sistemarci i capelli il sabato mattina con i bigodini di tua madre… mi manchi tu!

Uffa! Ma che ci sei andata a fare laggiù?

Tua madre e tua zia hanno portato via una parte di me.

Ti voglio tanto bene Mia!

Lela.

 

Tutto ciò che ero stata ora non significava più niente… come se il mio passato fosse solo una fantasia e l’unica realtà rimanesse la mia sedia a rotelle.

Con il denaro ricavato dalla vendita del vecchio appartamento e con i risparmi di famiglia, mia madre e sua sorella Susanna, erano riuscite ad acquistare una villetta in un piccolo paese in provincia di Milano, forse convinte che, allontanandoci dalla città in cui stavamo consumando il nostro dolore e il nostro lutto, saremmo riuscite a ritrovare un po’ di serenità e a ricominciare da zero.

La mia ed un’altra erano le uniche costruzioni che si erigevano sulla collina, ma il viale fra le due proprietà era lo stesso animato ogni giorno da bimbi in bicicletta e da donne con eleganti cappellini, così curiosi e colorati da stuzzicare quella parte di me che aveva dimenticato cosa fosse la vita mondana.

Passavano di lì perché quella era la sola strada che conduceva dalla valle del paese al mercato che tutte le mattine si accendeva d’odori e rumori tranne la domenica, giorno in cui lasciava spazio ai tendoni della fiera.

Ora che vivo in una caotica città metropolitana come Roma, mi è difficile credere che l’ambiente che spiavo dalla finestra della mia camera comportasse per me ciò che sono adesso i clacson, le vie intasate e i grandi centri commerciali pieni di luci… ma era la frenesia di Borghetto Campano e io mi limitavo ad osservarla attraverso un vetro.

Una cosa però, non riuscivo a mettere a fuoco, qualcosa apparentemente insignificante.

Passavo ore con i gomiti sul davanzale, ma era come se mi trovassi di fronte ad un codice, ad un’allegoria, ad un quadro astratto: non coglievo la chiave di lettura che mi permettesse di capirne il significato nascosto.

Ma alla fine la verità venne a galla.

Era inevitabile.

 

Da: Zorro@sendmail.it

Ogg: che fai?

Inviata: 24 Febbraio 2000, ore 18,44

Dolce Mia,

sto ascoltando la radio: è proprio vero che quando aspetti una canzone che ti piace sembra che nessun’emittente la voglia trasmettere!

Cmq stavo pensando a noi…

Insomma io farei di tutto per stare con te, lo sai. Sei sicura di quello che vuoi? O meglio sei sicura che non mi vuoi?

I miei amici sostengono che io stia cambiando e incolpano te, ma il tuo è solo un merito.

Mia tu mi fai dare sempre il meglio di me.

So che avevo giurato di non parlarne più, ma credevo che io e te saremmo stati insieme per sempre!

Pensaci… Patrizio

 

Avevo appena chiuso la finestra e preso il violino dallo scaffale, affianco al letto; stava diventando buio… la collina al crepuscolo assumeva l’aspetto di un luogo incantato: l’odore di cenere che usciva dai caminetti … il suo camino!guarda il suo camino… e della legna impregnata d’umidità, un impalpabile alone di nebbia che offuscava la valle… quell’atmosfera m’invadeva il corpo in una maniera indescrivibilmente piacevole.

La mia camera era al secondo piano, ma sentivo distintamente le voci della mamma e della zia provenire dalla cucina dato il totale silenzio che riempiva le serate del paese; decisi di non suonare per poter spiare il loro discorso.

La fruttivendola aveva raccontato a zia Susanna una storia assurda, iniziata anni prima; le sentii sostenere che era necessario organizzarsi in modo tale da non lasciarmi mai sola in casa e che avevano commesso un pericolosissimo errore a giudicare Borghetto Campano un tranquillo paese di provincia.

Con la scusa di aiutarle a preparare la tavola le raggiunsi in cucina e m’intromisi nella conversazione.

“Ho ascoltato quello che stavate dicendo… cos’è che vi spaventa tanto?” Sapevo che non avrebbero detto la verità.

“Piccola Mia, ci hai fraintese! La tua è una situazione particolare e non possiamo lasciarti sola…”, la mamma aveva appena sfornato un’invitante teglia di biscottini alla pasta frolla.

“Sai che ho trovato un lavoro part-time e devo alternarmi ai turni di tua madre…”, zia Susanna aveva avuto l’incarico di fare da baby-sitter alle due figlie del locandiere.

La dolce fragranza dei biscotti aveva invaso la cucina e io immaginai una golosa scia raggiungere il viale assieme alla nebbia sulla collina.

Mentivano… per quale motivo?

 

Da: Lela@evermail.com

Ogg: indovina chi mi ha baciata?????????

Inviata: 1 Marzo 2000, ore 11,38

Ciao Mia!

Ieri siamo andati in quel cinema di Viale Vittorio Veneto e al “Loola Paloosa”, te lo ricordi? Quel locale fichissimo dove si balla sui tavoli. Insomma è venuto anche Giorgio il fratello di Patrizio!

Non mi sembra ancora vero! Al cine si è seduto accanto a me e ha detto che non ricordava quanto fossi carina (a proposito ti manda un bacio). Al pub veniva sempre a ballare con me e alla fine ho ceduto: ci siamo baciati! Che dici ho sbagliato?

Lo conosco da quando sono nata, ma non lo vedevo da un sacco di tempo! L’importante è che lo volevo… sono felicissima! Tu che ne pensi?

Un abbraccio, Lela.

 

Mancava un mese al mio compleanno e io avrei voluto trascorrerlo come gli anni passati con Lela e Patrizio, in un pub magari!

Patrizio era stato il mio fidanzato per un anno e mezzo… era il primo ed unico ragazzo con il quale avessi fatto l’amore e che avessi mai amato, ma dopo l’incidente interruppi la nostra storia per non vedere un’altra vita rovinata assieme alla mia.

Manuela invece era sempre stata la mia migliore amica, fin dai tempi dell’asilo, anche se l’ultimo anno che avevo abitato a Milano era diventato complicato uscire insieme…

Erano le due persone alle quali volessi più bene e continuavo a tenermi in contatto con loro tramite Internet.

Fu proprio in alcune pagine della rete che trovai, finalmente un articolo riguardante la strage di Borghetto Campano.

Si parlava di un triplice omicidio: due ragazze e un uomo assassinati brutalmente in una sorta di tortura.

I sospetti erano caduti sulla mamma delle due bambine, rimasta sotto shock per giorni, incapace di dare una versione dei fatti e di spiegare come fosse uscita illesa, senza neanche un graffio, da quella strage.

Il caso fu archiviato anni dopo, per insufficenza di prove e senza un colpevole.

Non mi fu difficile, a quel punto, amalgamare insieme ciò che sapevo, soprattutto dopo l’incontro che facemmo io e zia Susanna una domenica mattina tornando dalla fiera.

Un gruppo di persone camminava dietro di noi, tra loro una donna con il suo bimbo. Il piccolo, dopo essersi accorto della mia sedia a rotelle, aveva chiesto alla mamma se era stata la strega a ridurmi in quello stato e aveva indicato con una manina la finestra della casa di fronte la mia.

La mia vicina era stata chiamata strega… le tessere del puzzle iniziarono a combaciare l’una con l’altra.

Mi resi conto che in mesi che abitavamo lì non avevo mai visto quella donna, né mia madre l’aveva mai invitata da noi per un caffè.

Io avevo passato un’infinità di tempo col naso sulla finestra, ma nessuno era mai entrato o uscito da quella casa… né avevo mai visto il comignolo della villa emanare fumo… la mia curiosità aumentava ogni giorno di più: dovevo conoscerla o almeno vederla.

Decisi di spostare la scrivania sotto la finestra, per poter controllare i movimenti nel viale anche stando al computer e studiai nei minimi particolari le persiane in legno verde intaccate dai tarli, il gran portone rigonfio d’umidità e i suoi due pomelli intagliati, i mattoni erosi dal vento e scoloriti dal sole… ma di lei neanche l’ombra: nessun rumore di passi, né tintinnii di stoviglie, squilli di telefono, radio o televisione; nessun segno della sua esistenza, niente bucato steso, immondizia alla porta, luci accese… niente!

Quella villa sembrava disabitata da anni.

 

Da: Zorro@sendmail.it

Ogg: stavo pensando…

Inviata: 22 Marzo 2000, ore 18,49

Ciao piccola Mia,

che fai? Mi sembra di vederti, nella tua stanza, mentre suoni il violino… con le palpebre socchiuse, respirare la tua musica.

Vederti esercitare mi ha dato modo di conoscere il tuo mondo interiore e di innamorarmi completamente di te, ma adesso posso solo rivivere quei momenti… ti amo.

Patrizio

 

Un pomeriggio di metà Marzo, la zia aveva portato Giulia e Gloria, le due bimbe alle quali badava, a giocare nel nostro cortile giacché la mamma non aveva potuto sostitursi nei turni di lavoro per rimanere in casa con me.

Verso le sette, quando ormai si erano appisolate sul divano del salone, la madre delle due ragazzine era venuta a prenderle e si era accomodata sulla poltrona accanto al caminetto aspettando che la zia servisse il caffè.

“Quest’odore di cenere non andrà via facilmente dai miei capelli e questa casa è freddissima! Non avete i riscaldamenti?”

Si guardò attorno con aria di sufficienza.

“Li abbiamo al piano superiore, dove sono le stanze da letto.” Trattenni a stento una risposta sgarbata.

“Oooh! Di sopra… e tu come sali con quell’affare?” indicò la mia sedia a rotelle come si trattasse di uno strumento di tortura medioevale.

“La scala ha un impianto al quale si aggancia la carrozzella.”

“Ah siiiiiii?” gracchiava come un’anitra, “… e la tua camera è quella che da sul viale, non è così? Ti ho vista spesso affacciata alla finestra…”

“Già…” non avevo mai visto nessuno gesticolare in quel modo.

“Uuuuh! Hai notato anche tu lo squallore della villa là di fronte? Nessuno ne risentirebbe se fosse demolita con la vecchia strega dentro!” Le sue labbra sottili erano pietrificate in un’orrenda smorfia.

“Di cosa state parlando?” Sperai che la zia non arrivasse proprio in quel momento.

“Mi riferisco all’assassina che abita in quella tetra casa!

Non sai niente della strage avvenuta 20 anni fa?” La porta della cucina si spalancò, la zia poggiò il vassoio sul tavolino di legno.

Ora ero certa che la donna di cui si parlava nel sito fosse proprio la mia vicina… ma dov’era? Perché non c’era il minimo segno della sua presenza? La sera dopo finalmente la vidi.

Ero alla finestra, a suonare.

L’aria fredda dell’inverno aveva ceduto il posto a quella meno rigida della primavera.

Tenevo il violino poggiato al mento, la mia mano muoveva delicatamente l’archetto e le note aleggiavano nell’aria profumandola della mia passione e mescolandosi all’odore di terra bagnata che proveniva dal cortile dove mia madre stava prendendosi cura delle sue amatissime rose, quando mi accorsi di un movimento nella casa di fronte.

Una persiana si stava aprendo.

Continuai a suonare fingendo di non essermi accorta dell’anziana signora che mi osservava nascosta dietro una tenda ricamata.

Non aveva per nulla l’aspetto di una strega: indossava una vestaglia color azzurro pastello, i suoi capelli erano di un candido avorio e la sua pelle talmente luminosa e fresca che dimostrava al massimo cinquant’anni mentre secondo l’articolo che avevo letto ne avrebbe dovuti avere quasi settanta.

Mi voltai e i nostri sguardi s’incontrarono, ma subito riscomparve nella penombra della sua camera; riuscii lo stesso a vedere i suoi capelli, tanto lunghi e splendenti da sembrare uno strascico madreperlato.

La sua espressione colma di dolore non dava fondamenti alle sciocchezze che raccontavano di lei e forse si trattava semplicemente di pettegolezzi che le si erano avvolti addosso appesantendola di vergogna, umiliazione e solitudine e mai nessuno aveva realmente voluto comprendere la tragedia da lei vissuta… avevamo molto in comune. … la vergogna…

Anche se non avevo fatto nulla di cui andare poco fiera gli sguardi della gente erano sufficienti a farmi sentire inadeguata. … l’umiliazione…

Un marciapiede senza saliscendi, una rampa di scale, un corridoio troppo stretto bastavano per riempirmi di mortificazione. … la solitudine…

A volte avrei voluto trasformarmi in una chiocciola; credo accada a tutti di provare questo desiderio, magari prima di un appuntamento importante o di un esame… volere essere quel piccolo esserino che si rannicchia nella sua conchiglia… soli, senza sguardi da dover sostenere, senza nessuno da dover incontrare…

 

Da: Zorro@sendmail.it

Ogg: Mi manchi

Inviata: 24 Marzo 2000, ore 00:08

Ciao Marunnina!

Ho letto il tuo sms…che cavolo ci fai ancora sveglia? Io ho un sonno bestiale! Stamattina sono arrivato alle 7.30 in classe! Moreno ed io ci siamo preparati il compito di storia che abbiamo abilmente scambiato con il foglio bianco senza che quella vecchia Befana se n’accorgesse!

Non vedo l’ora di farmi la macchina! Giuro che vengo a trovarti tutti i giorni!

Ti voglio rivedere… voglio stringerti e sentirti mia.

Ricordi? Quando abbracciandomi mi chiedesti se riuscivo a sentirti? Io non ti risposi perché era così strano quello che ci stava accadendo… ma ti sentivo, ti sentivo in me…

Buonanotte Mia. Patrizio

 

Il primo aprile iniziai le lezioni di violino con il maestro di Borghetto Campano: era il regalo di compleanno da parte di mia zia, anche se mancavano ancora sette giorni.

De Solla, così si chiamava, suonava senza passione, tenendo lo sguardo fisso nel vuoto; tecnicamente era un bravo musicista, ma le note uscivano fredde dalla cassa armonica del suo violino e la sua melodia svaniva nell’aria… un concerto ascoltato alla radio sarebbe stato più vivo e coinvolgente.

Anche lui mi parlò di lei.

“Ero ancora un ragazzo quando accadde quella disgrazia, da allora quella povera donna non esce più da casa e in paese si dice che non senta bisogno né di bere, né di mangiare…” era la prima volta che sentivo qualcuno aver compassione per lei, “Forse è il trauma subito che l’ha resa folle, ma raccontano di averla vista nella notte, alla ricerca di lepri e galline da sgozzare… si diletta con pasticci d’erbe, tisane probabilmente… o pozioni… chi può dirlo?…”

Terminata la lezione lo salutai, sentii i suoi passi per le scale, la voce della zia che lo ringraziava e la porta chiudersi; scossi la testa stupefatta… come poteva la gente di Borghetto Campano, nel duemila, ad un’ora di macchina da Milano, parlare di streghe, talismani e fatture?

Guardai fuori dalla finestra, lei era lì, dietro la sua tenda.

Mi guardava, annuì e scomparve di nuovo.

 

Da. Lela@evermail.com

Ogg: scappa finchè sei in tempo

Inviata: 1 Aprile 2000, ore 19:55

Cara Mia,

non posso credere alle tue parole! Nel tuo paese una povera vedova che si fa una camomilla è reputata una strega? Girarsi una canna finirà per diventare un rito occulto! Ma come fai a rimanere lì? Non vorresti tornare a Milano?… So che te la stai spassando senza scuola e senza la prof d’inglese, ma mi manchi! Manchi a tutti noi, specialmente a Patrizio! Ah, ma lo sai che Giorgio mi ha portata al Blue Klein? Forse nascerà qualcosa!

Un bacio, Manu.

 

“Buon compleanno Mia!” Zia Susanna stava apparecchiando la tavola per la colazione.

“Dov’è la mamma?” Entrai con la mia sedia a rotelle nella cucina, c’era un invitante aroma di caffelatte.

“Non c’è… mmm… è andata a prendere i cornetti freschi al forno in paese” non era mai stata capace di dire bugie, “sarà qui tra poco, vuoi un caffè nel frattempo?” Non immaginavo nemmeno la sorpresa che stavo per ricevere.

Dopo qualche minuto sentii scricchiolare la ghiaia del viale e mi resi conto che non erano passi di una sola persona.

La chiave scattò nella serratura; la zia sorrise.

“Datemi le giacche, la cucina è da quella parte.” Mia madre non era sola.

“Sorpresa!” Lela e Patrizio corsero ad abbracciarmi.

Non riuscivo a credere che fossero lì, la mia felicità era alle stelle.

“Ciao Mia” Patrizio mi diede un bacio all’angolo della bocca, teneva in mano un gigantesco mazzo di rose rosse.

Passai con loro il giorno del mio diciannovesimo compleanno; da dopo l’incidente non mi ero più sentita così serena… per un giorno tornai ad essere la Mia del passato dimenticando la sedia a rotelle.

Dopo cena la zia accompagnò Lela e Patrizio alla stazione e io salii in camera mia.

Piansi.

Lela e Patrizio stavano tornando a Milano.

Io ero lì, a Borghetto Campano.

Lela e Patrizio il giorno dopo sarebbero andati a scuola.

Io avrei suonato il mio violino, sarei andata al mercato con la zia e avrei risposto alle loro E-mail.

Lela avrebbe continuato la sua storia con Giorgio.

Io avrei sognato la mia con Patrizio.

Non riuscivo a prendere sonno…

Era notte fonda, la mamma e la zia dormivano nelle loro camere.

Dalle persiane chiuse penetravano deboli i raggi lunari e i miei pensieri si allontanavano verso prati pieni di margherite sui quali potevo correre…

“Mia!”

Accesi il lume sul mio comodino, ma nella mia stanza non c’era nessuno; sentii pronunciare il mio nome per la seconda volta e il cuore mi sobbalzò nel petto.

Cercai di chiamare mia madre, ma le parole mi morirono in gola… mi alzai dal letto, scesi di corsa le scale e raggiunsi il salone.

Aprii la porta d’ingresso, attraversai il viale.

Il cancello della villa di fronte alla mia era aperto, corsi nel giardino, spinsi il portone di legno… entrai; sentivo una melodia dolcissima provenire dal piano superiore e mi affrettai a salire le scale raggiungendo una stanza ben arredata ed accolgliente dove lei mi stava aspettando.

Guardava fuori dalla finestra, potevo vedere solamente i suoi incantevoli capelli, lunghissimi e perlati.

Si voltò, camminò verso di me e mi prese le mani tra le sue.

“Da anni vivo nella solitudine e nella tristezza, derisa ed incompresa… come succede anche a te. Non ho motivo di continuare a vivere… per questo ti lascio tutto ciò che c’è di buono in me: sfrutta questa seconda occasione e vivi un po’ anche la vita che non ho avuto.”

Mi strinse in un abbraccio pieno di calore, accarezzai i suoi capelli e persi i sensi.

Quando mi risvegliai ero nel letto della mia camera; nell’aria c’era l’odore delle frittelle che mia madre preparava quando aveva la mattina libera.

Le persiane erano spalancate e riuscii a vedere l’auto del medico di Borghetto Campano e un gruppo di persone.

“Ho trovato il suo corpo senza vita nella camera da letto… ha telefonato nelle prime ore dell’alba dicendomi che stava per morire…” riconobbi la voce del medico, mi alzai e corsi da mia madre.

Patrizio mi ha appena telefonato per sapere come è andato il concerto.

Non mi sono ancora abituata a suonare sul palco e a fare inchini al mio pubblico!

Questa sera mi porta allo Zodiaco, un ristorante famoso per il suo belvedere, da dove si gode un suggestivo panorama di Roma.

Festeggiamo il nostro primo anno di matrimonio.

Manuela si è offerta di badare alla nostra bambina, anche se sta preparando la tesi di laurea.

Scommetto che Patrizio si presenterà con un mazzo di rose rosse…