I racconti del Premio letterario Energheia

Il bosco_Sonia Maria Garziera, Como

_Menzione Giuria undicesima edizione Premio Energheia 2005_

Da quando la mamma non c’è più la nonna ha smesso di parlare e di pettinarsi.

Io do’ calci ai sassolini del vialetto e guardo da lontano la casa, dove ci sono la nonna e il papà.

Il dolore del papà è così grande che io non oso disturbarlo.

La gente dice che deve avere coraggio perché ci sono io: deve essere forte. Così non posso disturbare il papà con il mio dolore perché, oltretutto, io stesso sono un problema.

Il papà è buono con me, ma non ha voglia di parlare e di avermi intorno; così ho cominciato ad andare dalla nonna.

La prima volta che sono andato in camera sua lei stava immobile e guardava un punto sul muro. Non ha alzato la testa né mosso un muscolo. Io non ho visto niente sul muro.

La nonna è strana: non riceve mai nessuno. Seduta sulla sua poltrona tiene sempre lo sguardo fisso su un punto.

Un giorno mi sono abbassato e ho incontrato il suo sguardo.

Nei suoi occhi ho visto qualcosa che non mi aspettavo. Da allora sono sicuro che la nonna sa cose che io non so.

Vado dalla nonna spesso, adesso, e ho cominciato a pettinarle i lunghi capelli bianchi. Lei sembra contenta.

I punti che guarda sul muro quando entro nella sua camera, adesso, sono due: uno è quello che sta vicino a me.

Ho cominciato a parlare con lei. Posso raccontarle anche i segreti, perché so che non li racconterà mai. Mi piace starle vicino soprattutto alla sera e qualche volta mi sono addormentato nel suo letto. Siccome al mattino la trovavo ancora seduta sulla poltrona, ho chiesto al papà di portare il mio letto nella sua camera; così se mi addormento, la nonna non dovrà passare la notte sulla poltrona.

Lei sembra contenta del mio trasferimento.

La prima volta che la nonna mi ha parlato, dopo tanto tempo, ho fatto finta di dormire. Era notte, mi sono svegliato e ho sentito la nonna parlare. Avevo paura. Sono rimasto con gli occhi sbarrati e i muscoli tesi per un po’ senza voltarmi dalla sua parte. Al mattino non ero sicuro se si fosse trattato di un sogno o meno, anche perché, nonostante tutto, avevo finito con l’addormentarmi di nuovo.

La notte successiva la nonna ha parlato ancora. Stava seduta sul letto e mi guardava. Così è diventata un’abitudine: tutte le notti la nonna parla e mi racconta le cose che non so.

Ho cominciato a capire tante frasi sentite in passato e rimaste oscure, che mi risuonano nella memoria.

E’ così che ho saputo del bosco.

Il bosco è un regno. Il regno ha una regina che è la nonna.

Il male ha varie forme e sembianze. Certe volte, ha la forma del sindaco, certe volte della zia Carla, certe volte sono gli abitanti del paese in cui viviamo.

Per la verità noi abitiamo fuori dal paese, in una campagna che termina con una linea che la separa dal bosco; e su questa linea c’è la nostra casa.

Il bosco deve essere nostro perché tutti quei colori e rumori sono nostri, come nostro è il ruscello che corre sotto la casa e il suo gorgoglio che accompagna i racconti della nonna nel silenzio della notte.

Quando hanno rubato il regno, la regina è stata trasformata in nonna: in mia nonna, per l’esattezza.

E’ tutto abbastanza complicato ma io posso capire, perché sono il predestinato che riscatterà il bosco.

Adesso che anch’io so, devo passare all’azione. La nonna mi spiega come fare.

La prima notte che sono uscito dalla finestra e nel buio ho percorso la strada fino al paese, per andare a tagliare le gomme dell’automobile del sindaco, ho avuto paura.

Dopo qualche giorno il papà, a tavola, ha raccontato che qualcuno aveva tagliato le gomme del Beppe Tanoli, che non è il sindaco. Ho guardato la nonna che fissava un punto sulla tovaglia. Devo essere arrossito ma nessuno ci ha fatto caso.

Quella sera ho atteso che la nonna parlasse, senza chiudere occhio, ma lei non ha fatto cenno all’errore; mi ha dato un altro incarico.

Per la seconda missione ho dovuto rubare un po’ di vernice del papà: quella con cui lo aiuto a ritinteggiare la staccionata.

La porta della zia Carla, tutta intarsiata, di un bel legno scuro, adesso è verde.

Il papà non va spesso in paese perché non ha voglia di parlare. Il suo dolore lo isola e non lo lascia mai.

Ogni volta che è costretto a recarsi là, torna e racconta di questi teppisti che vengono probabilmente da fuori.

La nonna dice che l’azione deve essere più mirata: “politica” specifica.

Ho sentito alla televisione di un assassino che lasciava delle carte da gioco sulla scena del delitto. Mi è sembrata una buona idea.

La nonna vuole che si capisca il motivo dei danneggiamenti: lascerò sul posto una foglia del bosco.

La notte scorsa mentre camminavo verso il centro, ho sentito dei rumori vicino al fossato asciutto che costeggia la strada.

Sono andato a vedere e, alla luce della luna, ho visto la Clara e il Cecco buttati uno sull’altro. Mi è sembrato che il Cecco strisciasse come quei vermi verdi che si inarcano e buttano avanti la testa per spostarsi; ma non si spostava per davvero.

Sono rimasto in ascolto e mi è sembrato di sentire un rumore, come di qualcuno che trattenga il respiro. Non ho capito bene cosa stesse succedendo ma di sicuro si tratta di un segreto: del resto io non potrei raccontare l’episodio in ogni caso.

Mio padre è tornato e ha raccontato di vetri rotti e serrature riempite di colla. Dice che non se ne capisce la ragione perché non c’è nesso nelle azioni. Però hanno trovato una scritta sul muro del Municipio che diceva “il sindaco è un meschino”.

– Forse si tratta di un extracomunitario – ha detto il papà.

– E non hanno trovato una foglia? – ho chiesto mentre ragionavo sull’errore di ortografia. Per fortuna mio padre non ha fatto caso alla domanda.

La notte scorsa sono uscito con un secchio di frutta marcia da spargere sui gradini davanti al palazzo del Comune.

Ormai non ho più paura di camminare da solo nel buio e qualche volta mi sono sorpreso a fischiettare.

Lascio più foglie, adesso, sul luogo del delitto e, se c’è vento, cerco di fermarle con dei sassi.

Oggi mentre costruivo una pista per le biglie nella ghiaia, sono venute delle persone dal paese. Hanno parlato con il papà.

Lui scuoteva la testa e diceva che non era possibile. Poi hanno trovato il coltello da caccia del papà nel mio cassetto, hanno visto la vernice verde, la colla da falegname.

Mio padre mi ha chiamato e davanti a quelle persone che non conoscevo, mi ha interrogato.

La nonna mi ha raccomandato di non dire a nessuno delle missioni per la riconquista del bosco, ma non mi ha detto che sarebbero venuti dal paese per accusarmi. Non mi ha spiegato che cosa fare.

Ho chiesto al papà di parlare da solo con lui. Nel poco tempo che avevo, abbassando la voce per non farmi sentire dagli altri, gli ho spiegato del regno e della nonna che è una regina. Mio padre mi ha guardato in modo strano; allora gli ho detto di chiedere alla nonna; che è lei che mi ordina le azioni di guerra contro il paese.

Forse il papà ha capito, perché mi ha detto di andare in casa e si è avviato verso quegli uomini. Ho sentito che diceva che avrebbe sistemato ogni cosa.

Quando mio padre è venuto a cercarmi, ero con la nonna; l’ho pregata di parlare, di spiegare com’è la faccenda, ma lei è rimasta muta e immobile con lo sguardo perso rivolto al solito punto sul muro.

Mancano due settimane all’inizio della scuola ma io so già che non comincerò con gli altri, in paese. Andrò in collegio, per il mio bene, hanno detto.

Ho sentito il papà parlare con la zia Carla. Dicevano che la nonna era stata sempre ossessionata dall’acquisto del bosco e che aveva sperato di comperarlo quando il Pedretti, che era stato un suo pretendente da lei rifiutato, era diventato sindaco.

La zia si meravigliava che io ricordassi quelle storie e trova che la nonna abbia avuto una pessima influenza su di me.

– Del resto è una donna insopportabile, che avrebbe una pessima influenza su chiunque – ha aggiunto.

Nessuno ha chiesto il mio parere.

La nonna non ha più parlato.

Sono partito per il collegio il dieci settembre e lì ho passato tutto l’anno, senza permessi per tornare a casa.

Mio padre è venuto a trovarmi un paio di volte. La zia

Carla mai.

Adesso è estate, per fortuna, e in paese nessuno ormai parla più degli atti da me compiuti.

Mio padre non porta più il lutto e di sicuro mi ha perdonato.

A lungo è rimasto sconcertato dalle mie azioni e irritato per essere stato oggetto di chiacchiere e reso ridicolo, e per aver dovuto pagare molti danni, tra cui alcuni, ne è sicuro, non imputabili a me.

Quando è venuto a prendermi in collegio, però, si vedeva che era contento.

Il papà è buono e non abbiamo parlato del passato.

La casa e la nonna sono uguali a come le ho lasciate. Il mio letto è ancora nella camera della nonna. Nessuno si preoccupa più che io le stia vicino, adesso.

La prima notte che ho passato a casa, ho aspettato a lungo sveglio che la nonna parlasse, ma lei non ha parlato.

La nonna non parla più e persino io, ormai, dubito che lo abbia mai fatto. Ho sentito la zia Carla dire che mi sono inventato tutto per lo shock.

Poi una notte, mi sono svegliato con un rumore; all’inizio mi sembrava come di ghiaia. Ho guardato dalla parte della nonna e l’ho vista seduta sul letto che mi guardava e ridacchiava.

– La macchina del sindaco; – ha detto – Però questa volta non sbagliare!