I racconti del Premio Energheia Europa

Un’improbabile amicizia, Mojca Petaros_Trieste

Racconto vincitore Premio Energheia Slovenia 2022

Traduzione a cura di MARTA HALUPCA (Università degli Studi di Trieste)

Prima di uscire di casa, Jasna, da buona mamma moderna, immortalò con il cellulare quel momento così importante della crescita di Martin: il suo primo giorno di scuola. Per un attimo pensò di inviare la foto al padre, ma scartò subito l’idea. Se avesse voluto vederlo, avrebbe potuto organizzarsi per incontrarlo in qualsiasi momento, visto che vivevano ancora nella stessa città.

Negli ultimi quattro anni, da quando non stavano più insieme, lo aveva contattato solo di tanto in tanto per ricordargli di mandarle del denaro per il piccolo Martin. Ogni volta tagliava corto dicendosi disponibile a farle un bonifico, ma poi alla fine preferiva chiederle esattamente ciò di cui aveva bisogno e inviarglielo con dei pacchi direttamente a casa loro. Era come se temesse che lei spendesse il denaro non per il loro figlio, ma per il proprio piacere. I suoi regali, sempre lussuosi e di alta qualità, le davano sui nervi perché creavano agli occhi di Martin un’immagine positiva di un padre in realtà assente.

Martin si rifiutò di tenerle la mano mentre camminavano verso la scuola: era già grande, sapeva camminare da solo. Tuttavia, Jasna lo afferrò saldamente per il polso mentre attraversavano la strada. Mentre camminavano nel parco, lei lo lasciò andare, perché non c’erano macchine o altri pericoli che lei potesse usare come scusa per continuare a tenerlo stretto.

Mentre attraversavano il parco, Jasna e Martin passarono davanti all’unica panchina lì presente e Martin si avvicinò con curiosità. “Dai, Martin, lascia stare”, lo chiamò Jasna, “non vorrai arrivare in ritardo a scuola il primo giorno, vero?”

Sulla panchina, immobile, era seduto un mucchio di stracci sporchi. Solo Martin si avvicinò abbastanza per vedere cosa fosse. Jasna non ne aveva bisogno, perché lo sapeva già.

La prima volta che l’aveva visto era stata circa una settimana prima, mentre tornava da una riunione in tarda serata. Non avrebbe notato nulla nel buio se qualcosa non si fosse mosso sulla panchina proprio mentre lei passava. Era sobbalzata quando una voce roca le aveva parlato da sotto un mucchio di stracci.

“Mi dispiace, non volevo spaventarla”. Con il cuore ancora in gola, Jasna aveva cercato di capire chi avesse parlato e solo dopo qualche istante era riuscita a scorgere un volto umano nell’oscurità.

“Nessun problema”, aveva mormorato, iniziando ad allontanarsi a passi veloci.

“Potrebbe dirmi che ora è?”. Quando la donna sulla panchina si era mossa in avanti per farsi sentire meglio, Jasna aveva sentito un odore sgradevole.

Jasna aveva tirato fuori il telefono dalla tasca e premuto un pulsante, facendo illuminare momentaneamente lo schermo. “Manca poco alle undici”, aveva detto senza alzare lo sguardo. Dietro di lei, un debole “grazie mille”.

Da quella sera era raro che la panchina fosse vuota. Anche in pieno giorno, di solito lì sdraiata c’era una senzatetto. Nelle rare occasioni in cui Jasna la vedeva sveglia, le rivolgeva un sorriso educato e a denti stretti per salutarla, anche se lei non riusciva a riconoscere in questa passante colei che le aveva indicato l’orario una notte.

Il piccolo Martin, naturalmente, ignorò il richiamo della madre: in due salti fu alla panchina. Quando la proprietaria degli stracci sporchi si sollevò per mettersi seduta e lo guardò dritto negli occhi, lui emise un gridolino di sorpresa. Un attimo dopo si mise a ridacchiare. “Ehi, mi hai spaventato”, la rimproverò ridendo. “Io sono Martin. Oggi vado a scuola per la prima volta! Invece tu…”

Prima che potesse dire altro, fu interrotto dalla voce di Jasna: “Martin! Faremo davvero tardi!”.

Scrollò le spalle, guardò la donna un’ultima volta e la salutò: “Mi dispiace, devo andare via. Forse ci rivedremo”.

Mentre proseguivano verso la scuola, Jasna si voltò velocemente indietro. La senzatetto, silenziosamente, li stava seguendo con lo sguardo.

La mattina dopo, in mezzo al parco, Martin interruppe il felice racconto che stava facendo a Jasna a proposito dei nuovi compagni di classe con cui aveva fatto amicizia il giorno prima e esclamò: “Guarda, mamma, quella signora è di nuovo qui!”.

Prima che Jasna potesse reagire, era già corso verso la panchina. La donna sulla panchina stava visibilmente dormendo, ma questo non fermò Martin. La scosse con la sua manina: “Ciao, sono io, Martin! Ricordi?”

La senzatetto si alzò lentamente e si sedette, mentre Martin si sistemò sull’altro lato della panchina.

Quando Jasna li raggiunse, Martin era già nel bel mezzo di un racconto emozionante. Si fermò a qualche passo di distanza: non voleva interromperlo subito. Scosse la testa, ma non poté fare a meno di sorridere. Aveva visto che la senzatetto non era pericolosa e le piaceva la spontaneità del figlio, libera da qualsiasi pregiudizio.

Fu in quel momento che la vide meglio per la prima volta. Non aveva idea di quanti anni avesse. La pelle del suo viso era rugosa, ma era impossibile dire se fosse dovuta alla vita all’aperto o alla vecchiaia. I capelli neri le spuntavano dalla testa in ciocche disordinate, ma Jasna non poteva giudicarla per questo, perché le ricordavano leggermente i suoi riccioli prima che li acconciasse ogni mattina.

Quando il suo sguardo incontrò quello del figlio, colse l’occasione per interromperlo: “Dobbiamo davvero andare avanti, Martin. Ci manca comunque ancora un po’ per arrivare a scuola”.

Il bambino saltò obbedientemente giù dalla panchina, salutò la nuova amica e si avviò verso un altro giorno di scuola. Mentre camminava, ritrovò facilmente il filo del discorso che stava facendo alla madre prima di incontrare la senzatetto. Jasna lo ascoltò con piacere. Era ovvio che Martin non avrebbe avuto problemi a socializzare a scuola.

Il ragazzo è davvero brillante, pensò Jasna con orgoglio. Doveva riferirlo a sua madre, perché sapeva che era tormentata da inutili preoccupazioni per il nipote che cresceva senza un padre; Jasna sapeva che lei aveva difficoltà a digerire la rottura con il padre di Martin e, soprattutto, ad accettare le richieste di denaro di Jasna, che la madre riteneva troppo impertinenti. Invano le aveva spiegato che l’aiuto finanziario rappresentava il dovere di genitore.

Entrambe volevano il meglio per Martin, ma le loro opinioni divergevano. Jasna taceva sempre le cose più importanti, quando la madre la rimproverava: anche lei era cresciuta senza un padre, ma ciononostante da adulta stava bene. In realtà era cresciuta senza entrambi i genitori, dato che la madre doveva stare al lavoro tutto il giorno per guadagnare abbastanza per sé, per la figlia e per il marito, che Jasna non ricordava dal tempo prima che la cirrosi epatica lo mandasse nella tomba, se non per quelle volte in cui lo aveva visto buttato sul divano con una bottiglia di vino in mano. Aveva già deciso in quel momento che non avrebbe permesso, per nessun motivo, che un suo eventuale figlio subisse una tale sofferenza. Inoltre, il denaro del padre non solo le permetteva di acquistare il necessario materiale scolastico per Martin, ma anche di trascorrere più tempo con il bambino.

Il tempo, che era stato quasi troppo caldo per essere settembre, si era finalmente guastato pochi giorni prima della fine del mese. Anche se pioveva da ore, Jasna decise di raggiungere la scuola di Martin a piedi passando per il parco: sapeva quanto gli piacesse saltare nelle pozzanghere. Gli fece indossare i suoi scarponcini nuovi di zecca e lo avvolse con cura in un poncho. Poiché non c’era vento, entrambi avevano preso anche un ombrello.

Anche quella mattina la senzatetto era sdraiata sulla panchina del parco, sotto un mucchio di coperte sporche che avrebbero dovuto offrirle un po’ di protezione dall’acquazzone. Mentre le passavano accanto, Jasna provò un po’ di compassione, seguita un attimo dopo da un leggero senso di colpa: la scena che si presentava davanti a lei era la stessa del giorno prima, e la donna sulla panchina si era destata solo in quel momento, solo perché stava per bagnarsi, tanto per cambiare. Se suo figlio non le avesse parlato quasi ogni giorno nelle ultime settimane, Jasna non l’avrebbe mai notata. Come non l’aveva vista quella prima sera, quando si era spaventata nel sentire quella voce proveniente dal buio del parco.

Chiamò Martin, che era tutto assorto dal saltare nelle pozzanghere. “Non vai a salutare la tua amica oggi?”.

Martin guardò disorientato la madre, poi la panchina; quando vide la senzatetto, corse da lei. Al suono della voce del suo piccolo amico, alzò lo sguardo con un sorriso che le illuminava il volto, come ormai succedeva ogni volta che lo vedeva.

Poco dopo, mentre proseguivano verso la scuola, Martin chiese a Jasna: “Mamma, perché Ana non è rimasta a casa oggi se il tempo è così brutto?”.

Jasna ci mise un attimo a capire che si riferiva alla senzatetto. “Probabilmente non ha un’altra casa, poverina”, disse. “Ecco perché è sempre nel parco”.

Martin si fermò a metà del passo e la guardò con occhi spalancati. “Cosa vuol dire che non ha una casa? Dove va a dormire allora? Dove prepara il pranzo?”.

Jasna cercò di spiegargli cosa significasse essere un senzatetto.

“Quindi Ana è come quei signori che chiedono sempre monete davanti alla chiesa la domenica?”, chiese infine Martin.

“Più o meno, sì”, rispose lei.

“Ah.” Martin rimase in silenzio per un po’. Ben presto, però, gli venne in mente una nuova domanda: “È per questo che puzza?”

“Sì, probabilmente la poveretta non riesce a lavarsi abbastanza spesso”, rispose Jasna.

“Quindi puzzerei così se ti disobbedissi quando mi fai fare il bagno?”.

Jasna non poté fare a meno di sorridere. “Sì, se non ti lavassi per molto tempo, anche tu cominceresti ad avere un odore strano”, disse lei, arruffandogli i capelli.

*

Era stata una delle giornate più belle. Forse perché quella mattina era riuscita a ottenere un pasto caldo, anche se modesto. Forse perché, dopo tutto quel tempo, la luce del sole aveva finalmente fatto capolino da dietro le nuvole. Ma forse non aveva bisogno di trovare un motivo particolare per la sua gioia: il più delle volte non riusciva a spiegare a se stessa il suo stato d’animo.

All’improvviso, si accorse che qualcuno si stava avvicinando a lei. La riconobbe subito: era la signora che le passava davanti con il suo bambino quasi ogni giorno, ma non sapeva come si chiamasse.

Cercò di tirarsi su e di sistemarsi il vestito unto, ma senza successo. È interessante quanto possa persistere il sentimento umano di imbarazzo: per quanto fosse affamata e stanca, la prima cosa a cui Ana pensava ogni volta che qualcuno la avvicinava era il suo aspetto trascurato. Si passò una mano tra i capelli annodati e in quel momento rimpianse di non aver chiesto, per vergogna, una saponetta alla gentile vecchietta che quella mattina le aveva portato la colazione.

Nel frattempo, la madre di Martin l’aveva raggiunta. “Salve”, disse lei. “Ana, giusto? Jasna, piacere”.

Non le sfuggì la leggera esitazione di Ana prima di tendere la mano. Ana tenne il contatto tra le loro mani per il minor tempo possibile e poi si alzò leggermente dalla panchina. Jasna sembrò riflettere per un momento, ma alla fine decise che avrebbe preferito stare in piedi.

“Le ho portato qualcosa di caldo”, disse, rovistando nello zaino. Tirò fuori un thermos e versò del tè profumato nel coperchio. Invece di porgerglielo, lo posò sulla panchina. “È meglio se lo lascia raffreddare per un momento”, disse. “Così non si brucia”.

Ana trovava divertente che continuasse a darle del Lei, era sicuramente più giovane lei di Jasna. “Grazie mille”, disse. Con il tempo, aveva imparato a reagire alla gentilezza delle persone solo come si aspettavano: con umile gratitudine. “È molto cara”.

“Senta… lo dirò senza esitazioni”, disse Jasna, improvvisamente più determinata, come se avesse finalmente preso una decisione. O raccolto il coraggio. “Sono certa sappia che non sono venuta da lei per nuda cortesia. Mio figlio da un po’ passa il tempo con Lei”.

Ana si chiese se avesse taciuto il nome di Martin perché non voleva sottolineare la vicinanza tra lei, la donna sporca della panchina, e il bambino. Eppure Jasna doveva sapere che il bambino si era già presentato a lei.

Prima che tutto nella sua vita cominciasse ad andare storto, quando suo padre era ancora convinto che l’amore sarebbe bastato a tenere lontana sua madre dalle droghe, quando ogni discussione tra loro finiva con uno o l’altro regalo per Ana dettato dal solo senso di colpa, prima che ognuno di loro dimenticasse in qualche modo, in mezzo alle proprie dipendenze e preoccupazioni, di avere una figlia… In una fugace finestra felice nella sua infanzia, sua madre una volta le portò un cagnolino di strada. Era sporco e indifeso, e Ana non avrebbe potuto immaginare allora quanto gli sarebbe somigliata tra qualche anno. Si era presa cura di lui – meglio di quanto la gente facesse con lei ora – e alla fine si era trasformato in una bestiola felice e bellissima.

Il suo nuovo amico Martin, a modo suo, le ricordava quel cucciolo. Entrambi guardavano il mondo con innocente curiosità, entrambi le facevano sentire che sarebbero stati suoi fedeli amici, qualunque cosa le fosse accaduta.

“Sono qui per chiederle una cosa”, continuò Jasna, e Ana pensò dentro di sé che avrebbe potuto trovare il coraggio di interromperla o semplicemente di allontanarsi per non sentire cosa le stava “chiedendo” di fare. Ma Ana non era così.

“Sa come sono i bambini… Sognanti. Beh, il mio è proprio così. Non ha ancora capito come gira questo nostro mondo, mi sembra che non faccia distinzioni tra le persone, vede solo il meglio in ognuno. Non che sia una cosa negativa. Non dico che non mi preoccupo mai per lui, anzi. Ma che ne so… A volte vorrei che rimanesse così per sempre. Che non crescesse”. Jasna fece una pausa. Evidentemente si era resa conto di essersi smarrita. “Beh… credo che lei capisca che sono disposta a fare qualsiasi cosa per lui. Ed è per questo che sono venuta qui oggi”.

A queste parole Ana sollevò il capo e lanciò un’occhiata fugace al suo viso, rendendosi conto che anche Jasna, una donna più anziana di lei in termini di età, ma nell’aspetto con almeno la metà dei suoi anni, stava fissando lo sguardo su un punto imprecisato lontano dal volto della sua interlocutrice. Ana si sorprese di essere così imbarazzata.

“Sa, ho comprato a Martin una bicicletta per il suo compleanno. Ha imparato da poco ad andare in bicicletta senza rotelle e sapevo che ne voleva una. Non ha mai avanzato richieste particolari per i regali, ma quest’anno me lo ha accennato più volte…”. Jasna sorrise. “Come ho detto, non posso dirgli di no, così ho racimolato abbastanza soldi per comprare almeno una bicicletta di seconda mano. Non sa ancora nulla, naturalmente: gli sto preparando una sorpresa. Un paio di giorni fa, a una settimana al suo compleanno, mi ha inaspettatamente chiesto a pranzo quanto costa una bicicletta nuova. Non sapevo cosa dire, sono stata un po’ evasiva e mi sono limitata a dire che se pensava di essere stato diligente e di meritarselo, l’avrebbe avuta anche nel caso in cui non fosse stata economica… Ma come un fulmine a ciel sereno, ha detto che non la voleva. Che vorrebbe che io dessi i soldi per la bicicletta a lei, perché pensa che ne abbia più bisogno”.

Ana non capiva perché le stesse dicendo questo. Ma ascoltando, i suoi occhi si inumidirono e sperò che ciò non si notasse. “Non gli ho mai chiesto nulla”, disse. “Non ho nemmeno parlato di soldi, o…”.

“Lo so, lo immaginavo”, disse Jasna con gentilezza. “È forse questo che mi ha imbarazzato ancora di più. Non so nulla di lei, non l’ho mai vista accettare o chiedere l’elemosina… Non che non sarei disposta a darle qualche moneta”, si affrettò a spiegare. “Senta, se fossero stati disposti a riprendersi la bici di Martin e a ridarci i nostri soldi, avrei offerto volentieri a lei l’intera somma, ma non era proprio possibile…”. Ana non rispose.

“Ma poi mia madre mi ha dato un’idea su come rendere più felici sia lei che Martin”. Jasna sbatté di nuovo le palpebre e si schiarì la gola per l’imbarazzo. Non c’era nulla in lei che facesse pensare che stesse per rivelare un’idea eccitante. “Mi farebbe l’onore di venire alla festa di compleanno di Martin domani? Mia madre sta cucinando e sfornando da tutto il giorno ed è chiaro che noi tre non riusciremo a mangiare tutto. Quindi ci piacerebbe avere qualche altro ospite a tavola”.

Ora Jasna la guardava quasi con una supplica negli occhi. Ana non sapeva cosa dire. Sentì che una lacrima stava lentamente, in modo impercettibile, colando sulla guancia sporca. Pensò di rifiutare. Come poteva una “cosa” come lei apparire in casa di qualcuno? Ma poi il volto sorridente di Martin apparve nella sua mente. Annuì tremando.

Non riusciva a capire se l’espressione sul volto di Jasna fosse più di sollievo o di delusione. Sorrise stancamente e fece per prendere il coperchio con il tè, che era ancora sulla panchina accanto a lei. “Oh, lasci che glielo riempia… Si sta raffreddando…”, disse Jasna. Il thermos tra le sue mani, a differenza del coperchio sulla panchina, stava ancora fumando. Alla fine si decise e posò il thermos aperto sulla panchina. “No, sa cosa, può restituirmelo domani. Martin e io verremo a prenderla, va bene?” disse, sorridendo finalmente un po’.

Ana la guardò mentre se ne andava. All’improvviso, Jasna si voltò, ma senza sobbalzare dalla paura come in quel giorno lontano in cui si erano incontrate per la prima volta e Ana le aveva chiesto che ora fosse: “Oh, quasi dimenticavo. C’è un piccolo bagno accanto al garage della mamma, che non usiamo, ma è ancora tutto funzionante. Potrà usarlo prima del pranzo di domani, se vuole. Le lascio del sapone e un asciugamano”.

Era stata davvero una delle giornate più belle. E anche quella successiva prometteva bene.