I racconti "brevissimi di Energheia"

I Brevissimi 2020 – Vicolo vista mare, Roberta Occidente Lupo_Salerno

Anno 2020 – (I colori dell’iride – Azzurro)

Eccomi qui, in auto, con le lacrime che mi solcano il viso e il cd di Edith Piaf nello stereo: il solito replay settimanale. Chissà perché, poi, mi ci ritrovo sempre. Ogni volta che scappo da lui vengo nel mio posto segreto, o meglio, mio e di qualcun altro. Un vicolo vista mare, dove noi habitués possiamo sentirci liberi.

Vengo qui a pensare alla mia vita, a mia madre che non ha mai voluto mi sposassi con Pierpaolo. “É ambiguo, nasconde qualcosa dietro quegli occhi azzurri come il mare, in cui puoi nuotare per ore senza stancarti mai”. É proprio così che mi diceva, quando le cose andavano ancora bene, prima che iniziasse a picchiarmi.

Ed io, in quegli occhi azzurro mare, mi ci tufferei ancora.

Le mamme con la loro borsetta piena di rughe ne sanno una più del diavolo!

“Quand’è che ti stancherai di lui?” continuava a ripetermi, quando già iniziava a capire. “Non lo so” rispondevo, premendo sui lividi per ascoltare il dolore supplicarmi di lasciarlo, di avere il coraggio di dirgli addio.

Vengo qui a guardare le barche arenate, con i remi spezzati sulla sabbia. Mi ricordano di quando avevo cinque anni e mio padre mi portava al mare. Giocavamo con i castelli di sabbia e con lo scivolo del pedalò. Mi rivedo al largo, a fare la sirenetta tra le onde. Ma ora c’è troppo vento, le onde sbattono rumorasamente contro gli scogli una, due, tre volte, allo stesso modo in cui una, due, tre volte mi schiaffeggia e mi spinge a terra, e per una, due, tre volte mi chiede scusa. D’impeto mi tocco la guancia dolorante, chino il capo, una lacrima sgorga timidamente e brucia sui graffi.

Vengo qui per ricordami che lo amo, come amo il mare, e per piangere in silenzio.

Il pianto isterico di una bambina mi risveglia bruscamente dal sonno dei ricordi. Mi guardo intorno per cercarla e vedo due fidanzatini che litigano. Lui urla, si vede che è incazzato nero. Non capisco cosa dicono, ma sento il desiderio di andarmene. L’angoscia mi assale. Perché discutono? Eppure sembrano carini uno accanto all’altra. Hey tu, biondina, vattene prima che si arrabbi ancora di più, non lasciare che… All’improvviso sorridono e lui le dà un tenero bacio sulla bocca. Tiro un sospiro di sollievo.

Mi giro per cercare la bambina: ha fatto cadere il gelato e ancora piagnucola, pregando la madre di comprargliene un altro. Sorrido. Questo quadretto del porticciolo con il mare libero di portare le sue onde dove gli pare, quei pianti e quelle urla che celano sorrisi mi trasmettono pace; quasi mi sento felice per un istante e con uno strano desiderio di specchiarmi, per compiacermi del sorriso inebetito che ho sul volto. Voglio fotografare questo attimo di felicità.

Sul cellulare cinque telefonate perse. Faccio finta di niente.

Mi piacciono le zampe di gallina che mi circondano gli occhi.

Ho voglia di sentirmi bella senza dovermi scusare con nessuno, di smettere di spendere soldi per l’acqua ossigenata e le garze in farmacia. Voglio poter aver lividi perché sono davvero caduta per le scale, senza dover trovare il modo più convincente per giustificare il mio viso deturpato e senza quella vergogna a dettarmi bugie.

Ho ancora il cellulare in mano. Sono le quattro, c’è il sole, il cielo è azzurro terso proprio come il mare.

Mi faccio un seflie riprendendo le onde, i graffi e le rughe che oggi stranamente mi fanno sentire ancora una bella donna! Che pensi quello che vuole, tanto ormai ho i calli sotto i lividi! Quando torno a casa voglio abbracciare mio figlio e voglio riprendermi la mia vita. Ho paura, tanta, tantissima, ma non posso farlo crescere in questa violenza domestica. Penserà che l’amore è schiaffi, sangue, dolore, grida. Voglio che sappia, invece, quanto bello sia amare; che sia un bravo fidanzato, compagno, marito, padre. Voglio che tocchi una donna con la delicatezza di un petalo, anche se può sembrare all’antica, e che possa amare con gentilezza. Delselfie, chi se ne frega, chissà se qui riverrò più!