I racconti del Premio letterario Energheia

Boe galleggianti di Angela Falconieri_Terlizzi(BA)

_Racconto finalista Premio Energheia 2018

A tutti i sogni sepolti nell’abisso

-Mamma dove vai?

-Torno presto amore.

-E io dove vado mamma?

-A disegnare un mondo a colori.

Ad un filo sospeso nel blu cobalto è agganciata una piccola mano, una grande speranza.

Lo stringe e scalpita, per non scivolare nell’abisso. Conta le nuvole, le guarda spostarsi.

Su un volto ebano una macchia di colore, in un mondo nero una chiazza arancione.

‘Spostatevi!’ urla Kamal ‘Fatemi spazio, vi prego!’, ma spazio non ce n’è e di tanto in tanto se ne fa un po’ gettando in mare qualche corpo morto, che è solo un peso, e rimangono a galla soltanto un mucchio di giubbotti arancioni che qualcuno prontamente si lancia a recuperare. Kamal ne prende uno.

-Questo è per te Ibra, ti piace? Uguale uguale al mio.

Ibra sorride e gli tira un pizzicotto.

-Si, uguale uguale.

-Hai visto? È bellissimo! Ti piace? Dai se non ti piace puoi dirmelo.

– Ma certo che mi piace, testone.

Ibra ha sentito tante storie sui viaggi in mare e si sforza di sorridere e di non spaventare suo fratello. Lo stringe a sé e gli dà una pacca sulla spalla.

-Ibra…

-Si, mi piace Kamal, mi piace…

-No Ibra, voglio sapere perché la mamma non è venuta.

-Quante domande.

-Ma per il mio compleanno viene? E mi aiuta a spegnere le candeline?

-Puoi farlo da solo eh…sei grande.

-Ad otto anni non si è ancora bambini?

-Non lo so Kamal…

-Va bene, le spengo da solo le candeline, ma viene?

-Tra poco viene.

-Forse mi ha mandato da solo con te perché vuole che io cresca e diventi adulto.

-Forse…

-Viene domani?

-Tra poco. Dormi testone.

Ibra accenna un sorriso amaro e Kamal chiude gli occhi e tira un sospiro profondo. Poi salta su all’improvviso.

-Ehi Ibra, ma quest’Italia è bella come si dice?

-Si spera.

Ibra si lascia dondolare dalle onde, si copre con della carta stagnola e avvolge suo fratello tra le braccia.

-Dobbiamo proprio assaggiarla questa pasta, vero Ibra? Ci piacerà moltissimo!

Ibra piange. Il vento impetuoso sussurra qualcosa alla sua pelle. Davanti ai suoi occhi si staglia possente la figura di sua madre e nella testa rimbombano le sue parole ‘Non tornate indietro’. Sente il rumore degli spari, l’odore delle macerie nelle narici. Comincia a canticchiare per distarsi, per distogliere i pensieri da quelle immagini e pian piano i suoi timori si sciolgono in lacrime. Tiene gli occhi socchiusi e le labbra serrate, corrugando la fronte ogni volta che una lacrima percorre veloce il suo viso. Osserva la gente ammassata, disperata, poi guarda i bambini che, invece, sembrano partire per un viaggio di piacere, con lo stesso entusiasmo di chi, con lo zaino in spalla, si prepara ad esplorare nuove mete per poi tornare a casa e raccontare tutto quanto. Ibra si sente come una foglia secca sul ciglio della strada, una folata di vento potrebbe spazzarlo via in un istante, ma cerca di resistere, di restare incollato alla terra umida. Guarda i volti delle donne e attraversa veloce i loro occhi e, per un attimo, immagina di incrociare lo sguardo di sua madre e sente, ancora una volta, il suo monito perentorio ‘Non tornate indietro, mai!’.

Gli aveva chiesto troppo, come avrebbe potuto non voltarsi, quel dolore era così grande da impedirgli di respirare. E poi come poteva non dire a suo fratello che forse non avrebbe più rivisto la sua mamma? Era un segreto troppo grande e fosco perché lui, solo, potesse reggerne il peso.

-Ibra.

-Ancora sveglio?

-Non vedo l’ora di sentire la sabbia sotto i piedi, di toccare terra.

-Forza, cerca di riposare.

-D’accordo.

-Buonanotte, ti voglio bene fratellino.

-Sto crescendo, non chiamarmi fratellino. Se cresco in fretta la mamma arriva.

Ibra accarezza dolcemente i capelli annodati di Kamal. Avverte una morsa alla bocca dello stomaco, a fatica si adagia anche lui e prova a riposare. Le onde sono sempre più alte, sovrastano il barcone e Kamal stringe forte la mano di Ibra.

-Non aver paura.

Kamal questa volta non risponde, non fa domande. Tiene gli occhi serrati e recita qualche verso del Corano. Ibra gli stringe la testa tra le mani e intona una ninna nanna.

-Forse hai proprio ragione, l’Italia deve essere bellissima.

-Dici?

-Si.

-E allora dovrebbe vederla anche la mamma. E forse sarebbe piaciuta anche a papà…

-Ne sono sicuro.

-Ma quando arriviamo?

-Tra qualche ora.

-Inizio a contare. Uno, due, tre…dieci, undici, dodici…. Ottantasei, ottantasette…

Kamal si addormenta e Ibra resta accanto a lui, senza mai lasciargli la mano. Al mattino la luce fioca li scalda un po’ e un uomo sulla cinquantina si avvicina.

-Ragazzo vuoi dell’acqua?

Ibra ha le labbra viola, trema.

-Non si preoccupi…Kamal tu vuoi dell’acqua?

Kamal si tira su in fretta e afferra con foga il bicchiere, poi la butta giù in un solo sorso.

-Mi ci voleva proprio! Grazie signore, grazie Ibra!

Ibra sorride e ringrazia. Kamal non sente più le gambe, vorrebbe più spazio.

Su un barcone di venti metri sono in circa novecento, speranzosi in un futuro migliore, disposti ad accettare il rischio di una morte atroce e violenta, disposti a vivere senz’acqua, servizi igienici. Ibra pensa e ripensa a tutti i corpi che sono stati lasciati cadere in mare, a tutti i sogni sepolti nell’abisso. Il suo amico Mohammed sognava di diventare un calciatore, ‘voglio diventare forte come Cristiano Ronaldo’ diceva continuamente. Aisha voleva aprire una panetteria tutta sua, voleva prendere il pane caldo tra le mani, al mattino presto, e metterlo sul bancone. E poi voleva sfornare tanti, tantissimi dolci. Fatima voleva diventare una parrucchiera di successo e fare le treccine alle bambine di tutta la Sicilia. Avevano sogni semplici da realizzare, se non nasci tra le macerie. Adesso sono in fondo al mare, come tante altre persone che vengono lasciate cadere per poi riemergere a galla senza vita. Le loro anime lasciate nell’abisso e i loro corpi a pelo d’acqua, come boe galleggianti. Uomini, donne, bambini persi in mare, condannati all’oblio. Lacrime, urla, rabbia, speranza. Poi silenzio. Duecento persone blindate nella stiva. Senza ossigeno, senza luce.

‘Chissà se toccherò terra’, pensa Ibra, ‘chissà se vedrò la bella Italia, chissà se potrò mai iscrivermi a scuola, giocare a palla con i miei amici, chissà se potrò mai cambiare le cose’. Ha paura che il mare lo inghiottisca prima che possa diventare grande davvero, prima che possa imparare ad amarlo. Ha paura di non essere in grado di badare a Kamal.

Kamal ha otto anni ed è un bambino vivace. Ha due occhioni immensi e un sorriso contagioso. Fa tante, troppe domande e, a volte, non riceve risposte. Kamal non ha paura della guerra, non ha paura della fame. Kamal ha paura di rimanere solo, di non rivedere più la sua mamma, di non poter spegnere le prossime candeline e di non scartare più regali di compleanno. Kamal ha paura di non calciare più un pallone, ha paura di non imparare bene l’italiano e di essere bocciato. Kamal ha paura che la pasta non gli piaccia, ha paura che l’Italia non sia bella quanto la sua terra, bella e dannata. Kamal ha paura che Ibra gli lasci la mano, che non gli insegni a nuotare, Kamal ha paura che sua madre lo metta in punizione. Ha paura che i compiti a casa in Italia siano troppi e che non abbia tempo per giocare. Ha paura che nessuno gli regali una bicicletta, perché sul barcone non gliela avevano lasciata portare. Ha paura di non riuscire a crescere tanto in fretta quanto vorrebbe la sua mamma.

Ibra ha tredici anni ed è già cresciuto. È un uomo, sogna di poter studiare, di poter essere d’aiuto a qualcuno. Spera di poter cambiare le cose e di poter vedere suo fratello diventare grande. Spera di non deludere sua madre, di avere la forza di non tornare indietro. Spera di poter ricominciare in Italia. Spera che nessuno gli dica che non è ben accetto, di non intraprendere strade sbagliate, di non diventare un lavoratore a nero. Spera di non perdere la sua dignità di essere umano. Ha paura di non rivedere più la sua casa, la sua mamma. Ha paura di non poterle più dire quanto le voglia bene, di non poterle più dire che è stata una mamma fantastica, che non è colpa sua, che è felice di aver visto il mondo, nonostante tutto. Ibra ha paura. Un brivido di terrore attraversa la sua spina dorsale, poi due braccia gli cingono la vita e due enormi occhi nocciola su un volto scavato lo fissano.

-Ibra tutto bene?

-Si Kamal, tutto bene.

-E allora perché piangi?

-No non piango, che dici.

-Ibra non avere paura.

-Non ne ho testone.

-Che ore sono?

-E chi lo sa…

-Ma io sono stanco, ho fame, ho sete…

-Abbi pazienza, solo un po’ di pazienza…

-Va bene.

– أحبك (ti voglio bene).

-Anche io, tanto.

Ibra prova a muovere le dita doloranti, poi afferra un panino e lo divide con suo fratello. Sono in viaggio da troppo tempo, così tanto che Kamal ha smesso di contare. Il mare non fa più paura, le onde non sembrano più tanto alte. Kamal ha le labbra screpolate, è debole, è disidratato.

-Ibra…

-Dimmi Kamal…

-Ti ricordi quando mi hai insegnato ad andare in biciletta?

-Certo, eri una vera frana…

-Adesso sono un campione!

-Adesso diciamo che ci sai andare…

Kamal abbassa lo sguardo e mette il broncio.

-Dai sei bravo, non fare il bambino.

-Non sono un bambino.

-Appunto.

-Ma come lo dici alla mamma che sono cresciuto? Che può venire perché sono diventato un ometto?

-Troverò un modo.

-Ibra ti ricordi quando papà mi ha regalato la mia bellissima bicicletta bianca, così bianca che luccicava?

-E tu sei caduto non appena ci sei salito, la biciletta si è sporcata e sei scoppiato in lacrime.

-Ma secondo te come si fa a restare in equilibrio su due ruote?

-Con esercizio e pazienza.

-Ah, non con fortuna?

-Anche un po’ di fortuna.

-Sono proprio bravo ad andare in bicicletta, da grande voglio fare il ciclista.

-Va bene Kamal, va bene.

– E tu cosa vuoi fare?

-Studiare.

-Che noia Ibra, io a scuola non ci voglio proprio andare. Chissà come saranno i miei nuovi compagni.

-Saranno nuovi.

-E simpatici?

-Si, saranno simpatici.

-Ma quando arriviamo?

-Presto Kamal, tra poco.

Kamal continua a chiedere quanto tempo ancora debba restare lì costretto. Adesso ha più spazio, c’è sempre meno gente su quel barcone, ci sono sempre meno sogni tra quelle onde. Sono stanchi, soli. Ibra cerca di restare vigile, di rispondere alle domande sempre meno frequenti di suo fratello, di consolarlo.

-Ibra forse non la rivedrò la mamma e forse non vedrò neppure l’Italia.

-Ma che dici Kamal, siamo quasi arrivati.

-Lo dici da quando siamo partiti Ibra, io non ce la faccio più, sono così stanco.

-Kamal te lo prometto.

-Ibra ma se io non la rivedo la mamma tu per favore la abbracci da parte mia?

-Kamal ma tu la rivedrai.

-Ma io non mi sento bene…

-Non dormire Kamal…

-Ibra, prometti anche che tornerai a prendere la mia bicicletta e che non la sporcherai mai.

-Te ne comprerò una nuova, ancora più bella.

-Promettimelo Ibra…

-Va bene testone, te lo prometto.

Kamal sorride, non riesce a restare sveglio e chiude gli occhi lentamente. Ibra lo scuote, gli parla, gli stampa un bacio sulla fronte, in segno di protezione, poi gli infila un cappellino di lana rosso. Il cuoricino di Kamal smette di battere poco dopo. Ibra cerca di ingoiare il suo cuore, che con un sobbalzo gli è salito in gola. ‘Kamal!’ urla disperato. ‘Kamal!’. Kamal non si sveglia, è troppo stanco. Come tutti gli altri corpi lo lasciano cadere in mare e, con lui, la sua fretta di diventare grande, l’illusione di rivedere la sua mamma, con lui tutti i suoi regali di compleanno, il sogno di diventare ciclista.

‘Kamal!’, urla ancora Ibra, ma il mare non gli dà nessuna risposta. Ibra piange, le lacrime gli sporcano le gote, gli occhi si tingono di rosso, gli si spezza il fiato. Non avrebbe visto crescere suo fratello, non gli avrebbe insegnato a nuotare. Si accascia, piange, stringe il suo cappellino di lana e canticchia una ninna nanna araba.

All’improvviso si avvicina una nave.

-Salite tutti a bordo, con calma, non vi accalcate.

Urla, gioia, entusiasmo. Il corpicino di Kamal è un fagottino arancione a galla, Ibra è rannicchiato in un angolo e lo osserva allontanarsi trasportato dalle onde, dondolandosi convulsamente avanti e indietro. Una donna allunga la sua mano.

-Forza, tirati su ragazzo.

Lacrime incessanti rigano il suo volto, poi una coperta lo avvolge e delle braccia lo stringono. Ibra si lascia portare in salvo.

‘Ciao testone’ sussurra al mare.

Anna, la donna che lo ha tratto in salvo, lo tiene stretto a sé. Il suo respiro si blocca e il suo cuore non smette di palpitare. Anna lo accarezza, gli stringe la testa sul petto, lo bacia con affetto materno.

-Anna.

-Si tesoro, dimmi.

Ibra si asciuga le lacrime.

-Quando si rimargina una ferita?

-Quando sei pronto a ricucirla.

-E come si ricuce una ferita? Come si blocca un’emorragia se il sangue ancora zampilla? Come si fa a rallentare il cuore se mi sale in gola e vorrei sputarlo fuori?

-Si fa in silenzio, si fa con dolore, stringendo i denti.

-È un boccone troppo amaro da buttare giù.

-Devi solo seppellire in fondo al tuo cuore i ricordi più tristi e tenere in superficie tutte le cose belle. Poi devi guardare avanti.

-Quanto avanti? Se guardo avanti vedo il mare, e il mare mi fa male, mi divora, riapre le mie ferite, il sale brucia.

-E tu guarda in alto, guarda le stelle, ti assicuro, brillano per te.

Ibra china il capo.

-Grazie Anna.

Poco dopo, su quella stessa nave, quella notte, due occhietti vispi vedono il mondo per la prima volta. Una piccola vita emette il suo primo vagito tra le onde del mare, tra le braccia sicure della sua mamma, tra le cure affettuose di medici e volontari. A quel miracolo di mezzanotte viene dato il nome di Kamal. Ibra capisce che c’è speranza, che non è ancora finita, che le ferite possono rimarginarsi, lentamente. Capisce che deve realizzare i suoi sogni, non importa quanto difficile possa essere, che deve percorrere ancora molta strada, in sella ad una bicicletta bianca.

Qualcuno grida ‘Siamo arrivati! Terra!’.

Anna si avvicina.

-Benvenuto a casa piccolo.

Ibra stringe il cappellino rosso tra le mani, alza lo sguardo al firmamento e si accorge che quella notte, davvero, le stelle brillano per lui.