I racconti "brevissimi di Energheia"

I brevissimi 2012 – Solo cinque minuti di Andrea Andolfatto_Solagna(VI)

Anno 2012 (I sette peccati capitali – L’accidia)

Et l’illusion de la vie était absolue: mobilité du regard, jeu

continuel des poumons, parole, agissements divers, marche,

rien n’y manquait.

ROUSSEL, Locus Solus, 1914

 

Il sergente Canterel stramazza a terra, emettendo il solito grido strozzato di un

soldato francese che muore. Cadendo si insacca su un fianco, mentre la vista

regredisce a un miscuglio di fango, sangue e punti sgranati. Una marcetta militare in

sottofondo si affanna per dare solennità all’evento. È così che comincia il suo ultimo,

l’ennesimo sonno.

La mulattiera risale una dorsale della montagna, sinuosa come l’incedere di una

vipera, tra tronchi di rovere riarso e cuscini di erica. Si snoda lungo il versante sud

della cresta, alcuni metri sottocosta, al riparo dal tiro nemico. Gli obici austroungarici

martellano la parete nord notte e giorno, per fiaccare ogni nostra velleità di resistenza

e non darci l’occasione di mettere fuori la testa, se mai a qualcuno fosse davvero

saltato in mente di farlo. Noi allora restiamo diligentemente rintanati nei nostri

cunicoli, ben nascosti in fondo alle gallerie che abbiamo scolpito nella roccia. La

montagna è stata ridotta a un dedalo di trincee e baracche a colpi di pala e piccone,

con il sudore e la futile convinzione che tutto questo scavare, un giorno, sarebbe

servito a qualcosa.

Ogni giornata si consuma nell’attesa, aspettando un attacco finale che non sappiamo

se arriverà mai e, qualora giungesse, del quale ignoriamo il momento. Gli ordini che

giungono dall’alto? Resistere, resistere, resistere. Fino a quando non ci è dato saperlo.

I turni di corvè scandiscono le settimane: ogni martedì la mia squadra scende in

paese, ciondolante a dorso di mulo per fare provviste di acqua, gallette e carne in

scatola.

I miei uomini hanno volti stanchi, piallati dal vento e dal sole che sferzano il costone;

sono fattori dei bocages dell’ovest, carbonai dei Pirenei, operai parigini. Pochi di loro

sanno come questa guerra è cominciata, i motivi veri o presunti. Del resto a nessuno

di loro interessa davvero saperlo né saperlo cambierebbe le cose.

Mi piantano addosso i loro occhi vuoti e domandano piuttosto quando questo inferno

finirà: vogliono il giorno, l’ora precisa. Non gli interessa il come, se dovranno

arrendersi, moriranno in battaglia oppure saranno fucilati contro un muro; non è più,

ormai, una questione d’onore o di valore, non c’è differenza tra la vittoria e un’altra

sconfitta: conta solo l’epilogo.

Aspettano con ansia morbosa il momento in cui li chiamerò, a gruppi di quattro, per il

turno di riposo. Per loro riposo significa dormire, e dormire vuol dire non dover

pensare a niente e, finalmente, silenzio. E forse sognare casa, l’odore del suo ingresso,

il cigolio di quella porta, il rumore che fanno le scarpe da festa della fidanzata contro

il pavimento del corridoio.

Il crepuscolo racchiude in sé tutto ciò che ha rappresentato per noi la vita, in questi

mesi: terminato il rancio serale ci ritroviamo tutti nella pancia della trincea a fumare,

con il fianco adagiato al parapetto o accartocciati sul fondo.

Così, all’imbrunire, il crinale diventa una lunga Via Crucis punteggiata di braci di

sigarette, mentre le sentinelle stanno all’erta nei nidi di mitragliatrice.

Gli altri ci contrappongono i tuoni e i bagliori lontani delle loro bocche da fuoco, per

ribadire, ancora una volta e se mai ce ne fosse stato bisogno, che questa guerra non è

altro che pietre, schegge di granate e polvere che impasta la bocca.

Una sera ostinata accatastava ombre sghembe e capricciose agli angoli della trincea

quando una pallottola ha bussato alla tempia del sergente Canterel. Si è aperta un

varco nel cervello dal lobo sinistro, staccando appena un lembo di pelle; in modo

netto, discreto e all’apparenza indolore si è attorcigliata tra i pixel del volto che il

motore grafico gli ha dipinto per l’occasione. Non sono bastate le sentinelle, le mura

di terra, le numerose lettere della fidanzata.

Tommaso strattona rabbiosamente il mouse, soffocando un’imprecazione tra i denti

digrignati. Li detesta quei maledetti cecchini crucchi, ogni volta lo costringono a

ricominciare la missione da capo! Due esperti colpi di tastiera e il sottufficiale torna

ad essere una letale macchina da guerra, il filmato introduttivo riparte mostrando

l’ennesimo giuramento di fedeltà di quel manipolo di consumati arditi al loro capo

spirituale e militare:

– Mitragliere pronto signore! –

– Brière e Duport in posizione! –

– Squadra alfa pronta signore! –

– Pronto in tavola! –

Ecco,la Vecchiadispone della sgradevole abilità di rovinare tutto e sa farlo al

momento giusto. In un angolo lontano della camera buia il viso di Tommaso si

scompone per un istante in una smorfia isterica mentre i bagliori dello schermo gli

disegnano riflessi alabastrini sul profilo dei capelli neri. Alcune fascicolazioni

risalgono l’atonia delle sue gambe, inutile fardello nella guerra di trincea che si

protrae ormai da ventitré ore, un nuovo record. Non c’è fame, non ha sete, non

secerne alcun pensiero: almeno non questo lui e comunque non qui.

– Che palle mamma, arrivo! Solo altri cinque minuti! –

In marcia sergente Canterel, si ricomincia.